Così Alessandro Sicilia prosegue nella sua attività poetica, che ormai conta vari volumi e una serie di componimenti pubblicati in diversi periodici, con Le terze cose(1963),Forse angolo(1967),Non c'è posto per meno jota(1985). La sua non è una poesia facile, o che possa essere letta in maniera disattenta, senza collocarlo in quell'insieme di vicende che legano l'autore ad una serie di luoghi e di fatti vissuti in maniera totale senza residui, in completa contemporaneità e contestualità di analisi e di emozioni, tanto che il modo in cui partecipa alla ricostruzione degli avvenimenti storici è lo stesso con cui si dedica alla meditazione interiore e produce la sua tela poetica, e, viceversa, l'animo con cui il breve giro del verso accoglie la serie delle parole è quello dell'impegno sociale se non politico, l'intenzione di collocarsi nella vicenda di una terra difficile, in un percorso di sofferenze vissute ed intese da sensibilità individuali non meno che da coscienze collettive e di popolo.. Ricordo, visioni - soprattutto cromatiche, come c'è da attendersi già per il titolo di una fra le affascinanti sezioni del libro, il poeta dipinge - non predulono ad un intimismo raccolto e suggestivo, ma anche pericolosamente individuale e privo di legami con gli altri: la persona dello scrittore è al contrario, sempre insieme con il suo popolo, ne esprime le necessità, lo interpreta e rappresenta: il proprio passato, emotivo e letterario, è chiave per capire la storia, e di lì per suggerire le scelte e gli schieramenti, per superare i confini geografici e culturali dell'ispirazione ad un più compiuto senso dell'umanità. Mai rifutarsi di vivere il proprio presente, per quanto angosciante possa essere, mai rinunciare a combattere per il proprio avvenire, per quanto difficile e penosa possa essere la lotta; questo èl'impegno che Sicilia assume in primo luogo nei riguardi di se stesso, in un discorso di continuità che unisce la costanza ed alla tenacia di chi non ha mai avuto nulla in gratuito dono dalla sorte la capacità di ripensare anche ai convincimenti su cui più saldamente si è fondata tanta parte della propria esistenza: una qualità che può avere solo chi è così sereno e sicuro di sè da non dover temere la perdita della propria identità in conseguenza di una normale evoluzione delle idee, di un cambiamento che significhi crescita e non alterazione.
Infanzia senza favole è nel segno della continuità con l'esplicita citazione di Meno jota, ma anche con quella implicita di Forse angolo, per lo spazio dedicato alle geometrie immaginarie delle tele percorse dagli assi cartesiani paralleli, simbolo di una guerra-guerriglia di e fra i colori che, come si diceva, sono sotto le tele fra i protagonisti più presenti nel libro; e la guerriglia è presente anche "nel vocabolario della pace", con la sovrapposizione dunque della parola al colore, e quindi con la dichiarazione dell'identità artistica fra il poeta ed il pittore, secondo l'assunto del titolo. E agli assi cartesiani paralleli si affiancano, in altri testi, la lavagna di neve, le parole senza lettere, l'algebra senza numeri, in una serie di irreali che consentono di rappresentare sulla tela il maestrale giallo, il colore scalzo, i cubi di esplosioni, i puntelli di sole. Ma i richiami all'esperienza più comune sono gettati lì in continuazione, per non consentire fughe che avrebbero il significato della rinuncia: c'è "il negro in ginocchio / attorno al tuo tavolo", c'è quel "futuro un bicchiere di vino rosso" che interpreta i "colori / simbolo di partiti / simbolo di nazioni", con le loro barriere di razze e confini di potere, ci sono le affascinanti "croci di analfabeti" che volano a nord in Sul libro di testo , una poesia che riesce a contenere nella sua brevità la ricchezza e l'inevitabilità del messaggio che la Sibilla ha affidato alle foglie degli alberi, ci sono le "popolazioni in rivolta / uomini vinti / uomini liberi", i "discorsi di mafia" che bruciano lo spazio, c'è, significativo di un percorso fra passato e presente, fra individuo e masse, il Groviglio di filo spinato che fra alberi, pecore e lupi percorre la storia ed i tempi fra ombre e silenzi.
Le scelte politiche non sono mai dimenticate, ma non pesano con scontate dichiarazioni di principio o allusive adesioni a scuole e terrazze:Pagine di sinistra, nella sezione Il recinto dei pensieri,insieme con La mia anima, nella parte più linga della raccolta, quella che dà il titolo al libro, sono una bella sintesi delle contraddizioni di chi ha passato il 1989 senza riuscire a capire il perchàè del prima e del poi, e, tentendo di "progettare il cervello/la caduta del comunismo/.../la matematica dei prossimi numeri"(Progetto III), riesce a dare dignità di favola ad un pezzo di storia che ha segnato tanta parte di questo secolo:"polvere di sogni/comunista senza partito/comunista per la bandiera/comunista per la storia"(Sottozero 1992,inPiù zero).Anche il fatidico sessatotto ha il suo spazio, intrecciato con quello dell'alfabeto nell'ottica di chi lo ha vissuto in forme diverse dai sessantottini: in questo senso Alfabeto, quasi una condanna pasoliniana di quell'esperienza, ma - se èconsentito dirlo - più significativa perchè nasce a trent'anni da quei fatti e all'interno dei ceti che Pasolini voleva difendere dagli assalti degli studenti di allora; e nonè solo un problema di impostazione ideale del discorso: quei brevi nove versi, con l'affascinante intreccio di male e di bene, per cui all'alfabeto ed al suo dario si contrappone la fiaba dell'avvenire, passando attraverso il sessantotto ed il partito, debbono molto dalla loro efficacia all'estrema sintesi dell'espressione.
Anche nei momenti di maggiore attenzione introspettiva il poeta non rinuncia a sentirsi parte di un mondo pieno di storia e di vicende: se si intrecciano nella letturaAlfabeto immaginario e Non lasciatemi solo, i segnali in questa direzione sono assai precisi:"sono un poeta senza alfabeto", dichiara nella prima, collocando la sua opera e per la sua esistenza "dove l'alfabeto non sa scrivere",, ma la seconda è capace di trovare un altro alfabeto in cui sono scritte cose bellissime e tremende che solo il poeta sa intendere l'alfabeto dei nonni, che si può leggere prendendo il sole assieme alle lucertole o respirando l'aria della collina nei momenti più rituali di una gironata d'estate. Di qui la solitudine a cui ci si condanna, "il gioco del solitario / che io non vorrei conoscere"(Labirinto), che al tempo stesso è la maledizione e la grandezza del poeta, analfabeta come dio, privo del sillabario degli uomini eppure interprete privilegiato dei loro sogni e della loro memoria, lungo i cui sentieri insegue "paesaggi di fili di seta / percorsi da cavalli di gesso / strisce di mafia / compiti di matematica astratta / pagine di cassa integrazione / ruspe del potere / contro la libertà".
A leggere di seguito le sessanticinque composizioni che costutuiscono questo libro si sovrappongono impressioni diverse e non coincidenti: c'è, vissuto con consapevolezza ed esplicitamente dichiarato nei titoli, il problema del sud e della sua gente, ma sempre in chiave onirica più che rivendicazionistica (Io sogno a sud è, non a caso, una delle più belle poesie sul tema, che fa ilpaio con Nascere a sud, che fra il titolo e gli ultimi versi accumula una fantasmagorica serie di immagini solo apparentemente devianti); c'è, come si èdetto, il tema del partito e quello del sindacato, con la sofferta identificazione che riale almeno ai tempi di Tela nella raccolta Non c'è posto per meno jota e ritorna qui nel finale di Maschere, c'è la mlia dei luoghi, siano essi qulli più familiari della storia personale e locale o quelli remoti di Ukrainkà e della terra dei navajos, ci sono i colori e l'alabeto che dominano in più di una sezione, cè'è la suggestione dell'algebra, avvertita come terra di contrasti tutti fantastici, e quindi dominio del poeta più che dehli sterili cultori dell'alfabeto.
Con gli anni alcuni prodotti migliorano: se si badasse solo a quest'ultima raccolta, il discorso potrebbe valere anche per Sicilia, tanto ricca e scaltrita ne è divenuta la tavolozza poetica e retorica; ma basta rileggere i componenti di molti anni fa per vedere come la raffinatezza della anafore(penso a Luci veloci, a Giovanni,a Pagine bianche ed a tanti altri componimenti gia nelle Terze cose) l'eleganzae la musicalità della versificazione, l'abile disposizione di parole e suoni sia sempre stata una qualità dell'autore. E lo stesso si può dire per quei toponimi che affascinavano il lettore con le loro arcaiche risonanze, si trattasse di "Parantoro deserta nella notte" di Io sono una cosa o dei lontani tetti di legno di Zakopane, entrambi in ; Non c'è posto per meno jota, ora i nomi di luogo sono Ukrainkà e Shiprock, ma questo allagarsi di esperienze non comporta, come tanto spesso avviene, il loro indebolirsi: si provi a leggere un verso come "scioperi di lupi nel bosco" e non si protà sfuggire all'immagine della Sila, di quelle foreste che sono capaci di divenire simbolo di tutte le foreste, di tutti i "grovigli di alberi" che esistono, che sono mai esistiti, che mai esisteranno.
La soddisfazione per un percosso che prosegue, per un dialogo e quindi con l'umanità, nella consapevolezza di aver tanto da dare perchè si è capaci di prendere tanto, respira forte in tutte le pagine lungo il percorso di trantacinque anni. Un periodo che ha visto un giovane divenire anziano, che ha visto il rosso del bicchiere di vino cambiare significato ma non per spegnersi, fichè la "cronaca amara" sarà fatta di sangue, finchè sarà giusto cercare le parole della pace al di là delle barriere, siano esse di neve, di ghiaccio, di sogni,come nel 1985, o d'anagrafe e di razze come oggi. Della serenità e del coraggio con cui racconta e dipinge questo vedere e questo sentire ringraziamo Sicilia, che come ogni robusto e vero poeta sa essere voce dei tempi e delle genti, e dare anche a noi la voce che ci manca, che non sempre sappiamo o abbiamo il coraggio di usare.
Napoli, 2 settembre 1996