Ancora su "Digital di
Pino Veltri

Con "Digitale omologato" edito dal Centro Studi Universum di Lugano, Alessandro Sicilia ritorna a stupirci, perché con la sua poesia - come dice Giovanni Polara: "...riesce ad impersonare un tempo, una situazione, e a cogliere pensieri diffusi dando ad essi forme che ne sposano la generale condivisione su un piano di straordinarietà o non tanto linguistica quanto di generale presentazione: scarnificando il ragionamento, se ne enfatizzano le capacità provocatorie, e l'ovvio e - lo scontato - diviene imprevedibile, apparentemente illogico, che consente di guardare con occhi nuovi e ciò che si dice e si ascolta senza prestargli più attenzione". Ma noi vogliamo aggiungere che la poesia di Alessandro Sicilia, rappresenta l'ultimo anello della seconda metà del nostro Novecento, e nello stesso tempo, il punto di passaggio ad una nuovissima poesia, una poesia particolare, che con lui si fa una specie di originalissima ballata, che è nel contempo espressione musicale beat e poetica, fenomeno di accettazione popolare e slogan dello spirito e della mente e amore per la verità, che ad un certo momento diviene anche protesta sociale sottesa, intensa religiosità di sentire, un sentire che, sebbene laico, è sentimento morale ed etico e si indirizza verso espressioni sintetiche del quotidiano: quel quotidiano dell'uomo sociale che vive con l'ironia dell'uomo deluso dagli eventi, che nel presente - nonostante i secoli di progresso e di emancipazione - non ha ancora assimilato la civica consapevolezza che l'uomo è vita dell'altro uomo, e che perciò, tali espressioni di pongono ora come valore condizionale dell'umana realtà. Il profilo psicologico e stilistico di Sicilia bisognerebbe farlo risalire la suo primo libro "Le terze cose", che già dal titolo si può dedurre il contenuto, un contenuto non estraneo alle circostanze temporali, ma che hanno un continuum narrativo di eccezionale coerenza alla sua ideologia dell'essere., ed in cui traspare tutto l'anelito, tutta l'ansia del poeta ad una riconciliazione spirituale difficile, impossibile col mondo circostante: politico, sociale, religioso, umano ed intellettuale. Un mondo cioè, delusivo, che tenta ad ambientare l'altro con le proprie idealità,le proprie aspirazioni, i propri diritti, i propri desideri, i quali lo immedesimerebbero, lo renderebbero se stesso. Ma nulla di tutto ciò avviene: la società aristocratica va verso la vaghezza, l'insistenza dello spirito, e le nullità dei valori ora figura come un vaso senza contenuti essenziali, senza umanità concreta e visibile, senza apporti colloquiali altamente espressivi ed esprimibili pedagogicamente. Si scorge un mondo che se da un lato cresce a dismisura per tecnologia e scienze, dall'altro si perde in un chiassoso silenzio. Allora non è più esprimibile il concerto melodioso di un universo sublime, ma un arido suono di voci dolenti, un senso di smarrimento, e così anche i suoi versi non hanno più significato, non hanno sviluppi patetici e o sentimentali o romantici od esistenziali, se la società si specchia in un fondo torbido e putrefatto, senza memoria di sé, senza rimpianti, e se le città stesse con cercano spazi provvisori, senza più tempo, rapporti ignoti, mortalità delle cose, le quali nascono e si dileguano in uno spolverio di ricordi, e non rimane che la destrezza di una solitudine tormentata, il desiderio mai appagato, il sogno infranto, che stride all'alba della vita, il cuore che è l'incerto segretario di agonia e desiderio: varianti dell'anima, andirivieni delle tante cose non realizzate, non possedute, non accarezzate. Cosimo de Brido, in "Passero solitario", tratta da "Telegrammi?" dice: " Mi hanno falciato le ali/ Prima che le sentissi:/Come aprirle/se non immaginando?"; e in "IIntensità" ancora scrive: "Ora scrivo, sono ormai/stanco. Meglio sarebbe/continuare a guardare le persone/in strada. O guardare il mare?" e alla poesia di Sicilia, ancora si addice quest'altra poesia, coi versi: "Il segreto sta nelle combinazione dell'argilla e dell'aria; il segreto,/nelle dita che avvolgono la terra il/guscio dell'uomo, il fiume dove si raccoglie/la penombra che ho lasciato per strada:/Così io possa cercare il monaco muto,/il principio sconosciuto". Ecco Sicilia è come uno scultore, che scolpisce l'arida pietra e ne fa un oggetto d'arte. Egli produce il segno delle testimonianze del presente anche come creazione del linguaggio, un linguaggio che come ancora dice Giovanni Polara "... sarà,però, oggetto di qualche tesi di laurea, non ad Arcavacata o non solo lì, quando saranno altri a poter leggere che cosa si penserà di questi tempi e di queste persone; qui noi vediamo il nuovo capitolo di un'esperienza che segna progressivamente cambiamenti e continuità, nella piccola e nella grande misura, con un'identificazione di vicino e lontano che non è passiva globalizzazione del consumatore di informazione ma la partecipe curiosità e umanità di chi vede sempre dello stesso colore il sangue, che sia versato dalla 'ndrangheta o dalle bombe, di chi coltiva i sogni del passato consolidandosi col pensiero che infondo già allora erano sogni, e perciò tanto più veri e duraturi del reale..." E ciò, forse, proprio per questa trasformazione del mondo globalizzato, per questo registro impressionistico che evidenzia una logica non circostanziata, non espressa esteticamente, ma mirata alla carica storica, sociale, e soprattutto umana. Ma con l'amara ironia che vi serpeggia nei versi, con la satira, con l'invettiva, perché, senza citare Carlo Vittorio Cattaneo, le sue poesie, quelle di Sicilia, hanno lo scopo precipuo di esorcizzare i mali dell'uomo contemporaneo e della società esponendoli a nudo con apparente brutalità, ma con il senso di una filosofia che interpretativamente risulta strutturale.